Il “mio” Menocchio è un uomo libero, e non cerca il consenso

Sono trascorsi cinque secoli, ma la dannata storia del compaesano Domenico Scandella, detto Menocchio, si tramanda ancora di padre in figlio a Montereale Valcellina: un grumo di case in bilico tra l’ultima zolla della pianura padana pordenonese, il torrente Cellina e i monti Fara e Spia. Processato dalla Chiesa con l’accusa di eresia, costretto all’abiura, liberato e poi nuovamente processato, finito nell’ultimo rogo acceso dell’Inquisizione, le traversie di quel mugnaio e contadino conservano il fascino senza tempo della sfida della libertà di pensiero sull’imposizione, della coerenza sul potere. Alberto Fasulo, giovane regista di San Vito al Tagliamento ne racconta la storia in un film che ha rappresentato l’Italia al 71° Locarno Festival e vinto il Grand Prix du Jury Annecy Cinéma Italien, arrivato nelle sale cinematografiche lo scorso 8 novembre. Il Menocchio è interpetrato nrl film da Marcello Martini.

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