Sentiero dei Mulini

VISITE GUIDATE A CURA DELL’ASSOCIAZIONE INTORN AL LARIN

referente Rita Bressa cell 3381675225 –

DESCRIZIONE 

Il Sentiero dei Mulini realizzato dal Comune di Cimolais nell’anno 2011 con contributo di “Alleanza nelle Alpi” ripercorre la storia e la localizzazione di mulini che in Cimolais si trovano lungo la roggia che costerggiava il Cimoliana. Il primo mulino è quello della fam. di Protti Luigia ed è sttao riconvertito a casa abitazione. L’altro è quello di proptietà di Protti Antonio Silvio, che abbiamo recuperato e risistemato, un terzo è andato perso. Sono stati posizionati 2 cartelli con la descrizione dei mulini  (come sotto riportata).

Dopo aver visto i siti dei Mulini si giunge al luogo dove sorgeva l’ex segheria di proprietà della fam. Protti. Qui una mostra all’aperto illustra in dettaglio il lavoro che veniva svolto nella segheria.

DUE MULINI SCOMPARSI

L’acqua, risors

a disponibile in abbondanza, ha permesso che Cimolais si dotasse, almeno per un periodo della sua storia, di ben tre mulini. L’ultimo a cessare l’attività, dopo alterne vicende, negli anni Quaranta, si trova all’altezza dell’abitato, orami riconvertito ad abitazione privata.

Di un secondo mulino, posto sulla sponda sinistra della Roggia Cimoliana, ci attesta l’esistenza una mappa – purtroppo mutila – del 1849. Indicato in essa come Vecchio Molino, lo ritroviamo citato nel 1897 nei documenti di Felice Protti Meo, co-proprietario della segheria di Cimolais e falegname. Di proprietà della famiglia, l’edificio è denominato Molino da granturco ora dirocato. Lo stesso Felice Protti nel 1898 liquiderà con il Molino e campo alla croce una cambiale nei confronti di Matteo Bressa fu Osvaldo.

Un terzo edificio adibito alla macinazione si trovava nel presente sito; ne rimangono purtroppo solo le tracce delle mura perimetrali e due macine. Indicato nella mappa del 1849 come Molino Protti Dionisio, venne distrutto definitivamente dall’alluvione del 1928, dopo aver già subito i danni di quella del 1882. Se mancano al riguardo altre testimonianze scritte – le date di fondazione, co

me i nomi dei primi proprietari, si perdono in un indistinto passato – possiamo ancora rivivere, grazie alle memorie di chi per ultimo ha visto funzionare macine e setacci, alcuni frammenti di un mondo perso per sempre. E magari sentire per un attimo il veloce precipitare dell’acqua sulle pale, o trovarci tra i capelli uno sbuffo di farina, dono dei preziosi chicchi di mais o frumento, e conquista tenace di un “saper fare” radicato nel tempo.

Attingendo ai ricordi di famiglia, la signora Luigia Protti, i cui genitori gestirono per ultimi il mulino posto più a valle, narra a proposito del Molino Protti Dionisio:

«C’era un altro mulino a Cimolais. Era su lì, prima della sega, è rimasta ancora la macina. Quando è venuto

giù il Sciol del Fer era in pericolo. Eran due tre famiglie,  il mulino, era di due tre padroni. Han fatto di tutto per veder di parar via l’acqua, e invece…l’acqua l’ha portato via. Eran rimasti in piedi i muri, ma un po’alla volta…».

Dei mulini di Cimolais oggi rimangono qualche frammento di mura e due macine del Molino Protti Dionisio. Poco, è vero, ma abbastanza perché il ricordo, non poi così lontano, ancorandosi a delle testimonianze materiali possa parlarci ancora a lungo. Di acqua che scende dalle montagne, di carri che, trainati dalle donne, risalgono la Valcellina carichi di pannocchie, di sacchi di iuta colmi, non forse di farina, ma certo di storia.

L’ULTIMO MULINO DI CIMOLAIS

«Macinavamo sia farina da polenta che farina di fiore. Quella di fiore non si poteva passarla per le scatole che giravano, sennò si ingombravano, perché in tempo di guerra si macinava anche la segala. E allora s

i macinava apposta a mano la farina per fare il pane. Macinavamo tanta biava, il frumento era più un lusso. Andavano le donne a procurarselo… a volte si andava a castagne su per Castelmonte, e poi le portavamo giù in pianura a barattare col grano, o con le pannocchie. Quando portava il sacco al mulino, la gente voleva dare i soldi, e allora mia mamma diceva: – Nella caldera non si mettono i soldi, meglio la farina! -. Ci portavano su anche i fagioli, per pagare, in cambio della macinazione».

Le parole di Luigia Protti, la cui famiglia gestì l’ultimo mulino di Cimolais, quello posto più a valle, ci descrivono in sintesi il ciclo produttivo della macinazione, basato su una tecnologia essenziale (una ruota con pale azionata dall’acqua muove, grazie ad un albero di trasmissione, la macina in pietra, segue quindi la setacciatura manuale con il tamìs), fino alla vendita del prodotto finale, eventualmente trattenuto in parte dai mugnai come compenso.

«Il mulino era di gente di qui, poi è andato in fallimento e nessuno lo voleva, e un prete, don Bassi, lo ha preso lui, e ha messo dentro un certo Piero Redivo, da Roveredo. Questo qui aveva tanta testa, questo Redivo, e ha tirato su tutto un fabbricato per metter su la corrente, che in Valcellina non c’era, con la dinamo. Era nel Ventiquattro, Venticinque. E ha fatto la luce per tutto il paese».

Un esperimento che purtroppo non durò a lungo, soppiantato dalla centrale di Claut. Il mulino continuò però ancora per alcuni anni la sua attività:

«Poi siamo andati giù noi, corrente non c’era più, erano rimasti tutti gli impianti, ma era un disastro, laggiù. Sarà stato nel Trentaquattro, Trentacinque, che siamo andati giù, Trentasei. Quando mancava l’acqua, si fermava anche il mulino, e allora mio papà doveva andar dentro per la valle, dove era rotta la canaletta».

Nelle circostanze critiche del periodo bellico il mulino diviene meta privilegiata dei partigiani in cerca di approvvigionamenti e ospitale nascondiglio di fortuna per i giovani del paese in fuga dai tedeschi.

«È stata dura, perché dovevi macinare di notte, e si mettevano su gli stracci neri perché non si vedesse la luce, c’era il coprifuoco e dovevi stare attenta. Dopo la guerra si lavorava poco, e abbiamo chiuso subito, non valeva la pena continuare».

Ormai chi deve macinare mais o frumento si reca a Claut, o più spesso ad Erto. Ma il mondo è in rapida trasformazione, e con la fine dell’economia di sussistenza anche i piccoli mulini di paese sono destinati ad andar via via scomparendo.

La siègia

É una mappa del 1849 a fornirci la prima testimonianza sulla segheria di Cimolais, la siègia, indicata come Sega Protti Meo. Le Polise di Sega e i registri personali di Felice Protti, co-proprietario dell’immobile e falegname, ci offrono uno spaccato dell’attività dell’impianto negli anni tra il 1890 e il 1931: dalla segheria uscivano tole e toloni, fili, bregette e scorsi, semilavorati che rispondevano ai bisogni della comunità, spesso pagati non in denaro ma ricorrendo alla pratica del baratto, o con prestazioni lavorative, perlopiù agricole, da parte dei richiedenti.

I tronchi, trasportati dal bosco con i muli e fatti rotolare nel carrello trasportatore, venivano opportunamente squadrati, e quindi ridotti in tavole di diverse dimensioni. Sia la sega che il carrello trasportatore sfruttavano, tramite un eccentrico collegato alla ruota a pale, l’energia della Roggia Cimoliana, che a tal fine doveva essere costantemente sottoposta a manutenzione, soprattutto dopo precipitazioni abbondanti, per evitare accumuli di ghiaia e detriti e danni alle paratie.

Ridotta in pessime condizioni sul finire degli anni Trenta, la segheria fu praticamente ricostruita nel 1943-1944, e proseguì l’attività fino ai primi anni Sessanta, sempre a gestione famigliare.

Un analogo impianto, del quale abbiamo qualche accenno in documenti del 1904, era presente all’interno della Val Cimoliana, nella località denominata infatti Pian della Siègia, presso Pian dei Sedièi, qualche chilometro più a monte.

Attività che nascono dall’utilizzo sapiente delle risorse – acqua e legname – che il territorio offre, attorno alle quali si condensano le pratiche economiche di un intero centro montano, le segherie sono, come le latterie e i mulini, anche un punto di snodo delle dinamiche relazionali. E come le latterie e i mulini devono fare i conti con i mutamenti sociali del Dopoguerra.

Della segheria di Cimolais non rimane oggi più nulla, ma il toponimo è ancora ben vivo: la siègia è per tutti, anche per chi non l’ha mai vista in funzione, un luogo simbolo, poco sopra l’abitato, dove il paese incontra la montagna e la roggia fa l’ultimo salto prima di confluire nel torrente.

Il percorso e la mostra

https://cimolais.it/wp-content/uploads/pannelli.pdf

Visite guidate 2019

 

Inaugurazione con le Scuole di Claut – aprile 2012

 

Visite guidate 2018

 

Lascia un commento