Sedonere

Avete sentito parlare delle “sedonere”? Donne che partivano a piedi dai paesi dell’Alta Valcellina Cimolais, Claut ed Erto e Casso, e andavano a vendere in Veneto, Trentino Alto Adige, Lombardia , Emilia Romagna nel Basso Friuli e in Istria. Di solito erano in tre, una più anziana e due giovani donne, tiravano un carretto con ruote di ferro su strade sterrate, due davanti e una dietro che spingeva. Partivano a piedi da Claut Cimolais ed Erto e Casso ; passo Sant’Osvaldo verso Belluno, passo della Crous verso Pordenone, e poi via di paese in paese; dormine nei fienili in case di contadini ai quali lasciavano un pò della loro merce in cambio dell’ospitalità. La partenza primaverile era di solito verso metà marzo e la meta erano i paesi dell’Alto Adige o del Veneto da una parte e Trieste e l’Istria dall’altra; vendevano tappi per botti, mestoli, portasale e pepe e pestacarne; tutto rigorosamente in legno lavorato dai loro mariti o pardi; Il rientro verso metà maggio; In autunno la meta era diversa; si preferiva la pianura friulana e il baratto con grano e frumento; si girava di casale in casale finchè avevamo barattato tutta la merce; di solito non ci voleva molto, dai dieci ai quindici giorni; A Claut alle donne, alle volte si affiancava anche un giovane uomo. Ad Erto e Casso la merce (aghi, filo e materiali per cucire) era caricata in grandi cassette a cassetti.

Questa pagina è dedicata alle donne (e uomini) che con una cesta hanno girato tutta l’alta Italia portando i manufatti di legno  (cucchiai,forchette porta sale, etc.)che venivano costruiti durante le lunghe giornate invernali, con molta abilità dagli artigiani locali (quasi tutti in casa avevano un tornio (tornaretha) per lavorare il legno.

Vi proponiamo due interviste effettuate in occasione del progetto “beni immateriali” che l’UNPLI ha realizzato insieme alla Pro Loco di Cimolais nel 2009

a Protti Luigia

http://www.youtube.com/watch?v=WpqSTwAH-ps

e Lucchini Domenico

http://www.youtube.com/watch?v=rBdnJQRD_NU

Il commercio ambulante in Valcellina

Commercio Ambulante

In un territorio piuttosto avaro come quello delle Dolomiti, l’uomo fin dai secoli scorsi ha sfruttato quella che era la materia prima più diffusa: il legno. Unito alla manualità delle genti montane, il legno è diventato una risorsa economica per integrare il bilancio familiare o, in alcuni casi, unica fonte di sostentamento.

Tra le molte attività che gravitavano attorno a questa materia prima vi era il commercio ambulante di piccoli manufatti in legno. Dhì a girè (lasciare il paese per andare a vendere) come viene chiamato a Erto e fòra pal mònt a Claut, a le basse a Cimolais, ha avuto il suo culmine nel corso del 1800 e ha anche costituito l’antica forma di emigrazione della Valcellina e di quelle limitrofe.

D’inverno, nelle case risuonavano i colpi d’accetta per dare forma agli oggetti: era questa la stagione durante la quale gli uomini preparavano il carico che sarebbe poi stato venduto. Qualcuno, per poter avere più materia prima, sgrezzava gli oggetti ancora nel bosco per poi rifinirli a casa, così aveva più pezzi e meno ingombro al ritorno. Naturalmente questo richiedeva una conoscenza profonda degli alberi: l’acero, per esempio, era quello più adatto per i cucchiai, perché non s’impregna di odori e quindi va bene in cucina:“Mio padre faceva pestasali, mestoli da polenta, mattarelli, peverine, dopo portauova, i fusi, quello per mettere il ferro della calza, cannole per le botti del vino, cose così. Invece i cucchiai è a Clautche che li facevano, si andavano a comprare a Claut, le sedoni, i guciari a Claut. E a Erto facevano le forchette di legno.”

Nascere ambulante

I bambini ambulanti – Museo Casa Clautana

Partivano le donne, solitamente a coppie, portandosi appresso i figli di qualsiasi età, gruppi di uomini, talvolta intere famiglie: “Noi piccoli sembravamo in un nido, dentro al carretto”

Pochi erano i giorni di scuola di quei bambini, le frequenze saltuarie e a volte neppure un giorno: “in novembre mi mandavano a scuola e non aspettavano la fine, in primavera ripartivano e l’anno successivo a novembre ero di nuovo in prima.”

I più piccoli, restavano a casa con i nonni o gli zii mentre i più grandicelli, mentre la mamma girava per vendere, restavano presso le famiglie dei contadini che li ospitavano, in cambio dovevano fare qualche lavoretto come aiutare nei campi o raccogliere i frutti: “Quando sono andata via la prima volta dopo aver avuto mia figlia, l’ho lasciata che aveva un anno e mezzo e allora… pensi lei. Un anno e mezzo aveva. Eh…molta nostalgia”

Molte donne partivano incinte e partorivano dove capitava, anche nei fienili. “Sono nata in mezzo ai setacci, perché il papà si occupava principalmente dei setacci, un oggetto tipico del nostro paese”

Lungo il cammino

Generalmente erano due i periodi delle partenze: in primavera, per tornare a far fieno d’estate e in autunno, per essere di nuovo a casa alle soglie dell’inverno. “D’estate si tornava a casa per fare il fieno e d’inverno si tornava per Natale, in primavera si ripartiva.” Altre volte invece gli ambulanti stavano lontano mesi e anni a seconda dei bisogni.

Veniva usato un carretto di legno con ruote di ferro, tirato a mano. Solo negli anni ’60 gli ambulanti hanno iniziato ad usare i mezzi pubblici. 

Dove arrivavano chiedevano ospitalità ed erano sempre gli stessi i posti, case di campagna spaziose, dove si poteva lasciare il carretto e in un fienile c’era sempre posto per dormire, senza disturbare. Di solito a mezzogiorno si arrangiavano a mangiare qualcosa lungo la via; la sera invece avevano bisogno di un pasto caldo e c’era una particolare solidarietà in alcune case dove i proprietari, dopo aver cotto il proprio cibo, lasciavano il fuoco a disposizione degli ospiti.

“Si avevano delle conoscenze dove andare. Perché anch’io dopo sono andata sempre nelle famiglie che mi aveva portato mia mamma. Brava gente, perché a me sembra che non vorrei altre donne dentro casa. Perché si andava li e si faceva anche da mangiare. Brava gente perché fra l’altro fino a Mezzocorona erano italiani, ma dopo son tedeschi, ma bravi anche loro, anche i tedeschi, brava gente. Tra di loro parlavano tedesco, ma con noi  parlavano italiano. Dicevano: “Le compro, perché non voglio sia venuta qui per niente”

Erano attesi anno dopo anno i venditori ambulanti; nel tempo si sono strette amicizie che perdurano ancora oggi con nipoti e pronipoti:“Io ho girato fino a quarant’anni, e adesso ne ho ottanta, ma ancora ho corrispondenza con le famiglie. Ci sentiamo, ci telefoniamo. Ci volevano bene con tutto quel che si disturbava .. ci volevano bene. Non posso dimenticare quello che hanno fatto per me”

Camminavano e bussavano di porta in porta, lasciando il carretto e caricando la gerla o la cesta per vendere o barattare. Quando il carico era finito, altri oggetti arrivavano dal paese tramite il fermo posta:“La mattina ci si alzava e si andava a vendere di porta in porta, non si facevano mercati o fiere. Per mangiare durante il giorno un panino, e la sera, dove andavamo a dormire, ci si faceva qualcosa. Si lavorava dalle otto di mattina alle cinque di sera”

Spesso i piccoli nel frattempo andavano a mòcoi cioè a chiedere la carità, portando ai genitori farina, pasta: “..io quand’ero piccola ed ero con mia madre andavo a carità. Al mattino per la colazione, a mezzogiorno per il pranzo e la sera per la cena. Tre volte al giorno”

Gli ambulanti portavano con loro, oltre alla merce da vendere, lo stretto necessario:“Il cambio e basta. Non si poteva prendere su tanta roba, perché non ce n’era e poi… dove si metteva? Quando si aveva un cambio basta”

Sovente marito, moglie e figli si aiutavano: “…andavo con la cesta di casa in casa e con una cintura tenevo insieme i setacci. Ero così carica che stentavo a passare per i portoni. I primi giorni erano i più duri, risentivo di quel peso sulle spalle, poi passava. Mentre io giravo, mio marito rimaneva in un posto fisso a preparare i setacci o a riparare quelli rotti che mi consegnavano o che direttamente portavano a lui”

 

 

 

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