CENNI STORICI
Al dire di Antonio Belloni nelle sue «Vite dei Patriarchi di Aquileia», il castello di Cymolaz è ricordato come uno dei più antichi a difesa della patria del Friuli; secondo il Valussi, alcuni ritrovamenti archeologici (monili di rame e bronzo, frammenti di vasi) testimonierebbero l’esistenza di una sede permanente già in età tardo-romana e forse anche prima; è probabile che il paese sia già stato abitato in età pre-romana da un nucleo di popoli Paleoveneti (come dimostrato da un documento di vendita di due urne cinerarie riconducibili a quel popolo). Testimonianze di manufatti rari risalgono anche al periodo longobardo.
Benchè il primo documento della dipendenza di questa pieve dall’abbazia di Sesto rechi la data dell’11 giugno 1332, la tradizione popolare vuole che fondatori dell’Abbazia fossero stati i fratelli longobardi Efro, Anto e Marco, figli del duca longobardo del Friuli, Pietro e di Piltrude. Il 3 maggio 762 a Nonantola, sull’appennino modenese, i tre fratelli longobardi divisero i beni da loro posseduti in Friuli e nella Venezia fra i due monasteri che avevano già fondato a Sesto a Reghena e a Povoletto. La fondazione di un monastero comportava, infatti, non soltanto il costo della costruzione della casa-convento per i monaci o le monache, ma anche la dotazione di beni da reddito (campi coltivabili, pascoli, boschi e mulini) capaci di produrre rendite perpetue per il loro mantenimento e per le opere di carità. L’atto di donazione, steso dal monaco Ansperto nella Badia, dei SS Apostoli di Nanantola è rogato il 3 maggio 762. L’atto precisa i beni donati al monastero maschile di Sesto; tra di essi sono compresi le ville di Barcis, di Erto, il feudo di Tramonti e la villa di Cimolais, della quale si ha, pertanto, la prima notizia certa. L’Abbazia ebbe altre donazioni negli anni successivi e tra di esse ricordiamo nel 778 la villa di Forni e nel 924 la villa di Claut. L’Abate godeva il dominio diretto, civile e criminale, su vie e ville; il monastero teneva il diretto dominio temporale dalla sinistra Tagliamento all’estremo alto corso del Cellina, tra i monti nelle ville di Claut Erto e Cimolais; quest’ultima era la più importante delle tre ville e fu matrice delle altre due ville, essendo la sua pieve anteriore al secolo X. Tutte le ville erano amministrate da un gastaldo abbaziale mentre il potere giudiziario, civile e criminale era esercitato direttamente dall’abate, nei placiti. Secondo il Giacinto, gli abati di Sesto avevano a Cimolais, una specie di prioria, una casa abbaziale, dove forse trascorrevano i mesi estivi. Nel 1332, l’11 giugno, l’abate Lodovico emanava una sentenza in ordine alla divisione dei pascoli della comugne e del pineto fra le ville di Cimolais e Claut; nel 1335, il 10 gennaio, lo stesso abate, da Sacile, investiva della decima di Cimolais Francesco qm Federico di Azzone di Farro Bellunese; il 14 luglio 1339 si obbligarono a pagare le decime al monastero di Sesto. Le ville dell’Abbazia avevano, come le altre della Patria, la loro rappresentanza nella “Vicinia”. Nella Vicinia il potere esecutivo era esercitato da un podestà assistito da due giurati, c’erano poi i regolieri, che votavano dopo l’esposizione delle questioni e uno scrivano che redigeva il verbale dell’Assemblea in cui annotava i nomi di tutti i presenti che veniva consegnato ad un notaio che lo rogava (“Ant:” Nicoli Canc:” della Comunità di Cimolais scrisse”) e lo conservava, di solito, fra gli atti del suo Ufficio. Le ville pagavano al monastero le decime sui terreni coltivati e sui boschi, la posta sugli animali, i fitti sui masi, diverse tasse sulle professioni, i dazi su alcune merci, la quarta della caccia e della pesca. Dovevano contribuire con giornate lavorative fisse alla conservazione delle strade, ponti, fortificazioni, edifici abbaziali, scoli delle acque, raccolta dei fieni e derrate, trasporto delle merci nei depositi dell’Abbazia. Come compenso per questi lavori, ad ogni villa, a seconda delle sue contribuzioni, erano assegnati dei beni abbaziali in godimenti: per es. boschi, selve, pascoli etc. Le condizioni degli abitanti di questa villa si riassumo nell’atto seguente: 1399. 6 novembre in Cimolais. Gli uomini di detta villa, richiesti dall’abate Federico nella descrizione dei possessi, dei fitti e delle decime dell’abbazia nella loro villa, risposero: che da epoca remota tutte le possessioni di Cimolais essi le riconoscevano nella chiesa di Sesto, alla qual chiesa dovevano pagare l’affitto e le decime; ch’essi non potevano alienarle a forestieri, ma ai soli abitanti della villa con questa regola: se mai alcuno avesse voluto vendere le sue proprietà, doveva farne l’offerta ai suoi consorti, poi ai vicini, e in caso che nè i primi né i secondi avessero accettato, era suo dovere di darne partecipazione all’abate e se pur questi si fosse ricusato, allora soltanto era lecito venderla a persone abitanti in Cimolais, purchè non fossero passate ad estranei. La giurisdizione spirituale dell’abate di Sesto non era così vasta come quella temporale. Tuttavia aveva soggette molte chiese. Il secondo atto storico ufficiale data quasi mille anni dopo (1790) e, per uno strano caso del destino, viene notificato sempre il 3 maggio. In tale documento stipulato dall’allora dominante Repubblica Veneta si sancisce la fine della giurisdizione dell’Abbazia di Sesto al Reghena su alcuni paesi fra i quali anche Cimolais, che in seguito sarà acquistato dai nobili Signori Di Bia di Padova. Il dominio durerà fino al 1806, anno in cui vi è la cessazione di tale giurisdizione e dei diritti feudali annessi. Successivamente, dopo il periodo napoleonico, il Friuli intero cadde nelle mani degli austro ungarici e pertanto anche le zone dell’Alta Valcellina furono assoggettate al governo di Vienna fino al 1866, anno dell’Unità d’Italia. E’ certo, comunque, che fino al 1786, anno della soppressione definitiva dell’Abbazia, l’Abate teneva il governo spirituale nelle chiese di S. Maria in Sesto, San Giuliano… Santa Maria di Cimolais, San Giorgio di Claut e San Bartolomeo di Erto.
Cimolais fu anche capoluogo di forania, abbracciante le cinque parrocchie della Valcellina; in data 20 giugno 1969 tali parrocchie vennero unite alla forania di Maniago. In seguito alla rinuncia da parte dei capifamiglia al diritto di eleggere il parroco (3 novembre 1957), il vescovo De Zanche attribuiva alla chiesa di S. Maria Maggiore di Cimolais il titolo di arcipretale (6 novembre dello stesso anno).
La chiesa attuale fu consacrata il 12 maggio 1867 dal vescovo di Concordia Nicolò dei conti Frangipane. Essa è ricca di pregevoli altari lignei dorati (sec. XVI) ed è stata ornata nel coro e nella navata di begli affreschi del pittore Giuseppe Modolo di S. Lucia di Piave.
La parrocchia di Cimolais nel 1807
Dai dati raccolti nel 1807 dal conte Fabio di Maniago possiamo rilevare che:
- la parrocchia della Comune di Cimolais è situata nella contrada della comune, il titolare è S. Maria Maggiore. Il quartese calcolato in decennio è di L. 300.
- * La comune è ancora obbligata a mantenere un cappellano.
- La chiesa ha una miserabile rendita di L. 60 e del resto viene sostenuta dalla pietà si questi miserabili abitanti di pura carità.
*la chiesa di Cimolais non ha veruna rendita aveva due capitali in Zecca di Venezia. Viene manutenuta di carità.
- Il diritto di nominare il parroco è della Comune.
La parrocchia di Santa Maria Maggiore di Cimolais
Fulcro della vita spirituale era certamente la Chiesa (diesa) da dove partivano e arrivavano tutte le processioni e riti religiosi. Secondo lo storico Antonio Belloni la chiesa parrocchiale fu costruita nell’anno 1000. Certamente le prime chiese erano posteriori al 313, anno cui l’Imperatore Costantino diede, con l’editto di Milano, la libertà di culto e trasformò il cristianesimo in religione di Stato. Per questo anche se Cimolais è lontano dai centri di irradiazione della religione cristiana, si può ragionevolmente pensare che il cristianesimo ivi si diffuse in un tempo relativamente breve. E’ certo che, avendo l’Abate di Sesto scelto la sede a Cimolais le chiese di Erto e Claut furono sottomesse a quella di Cimolais per lungo tempo: Claut si staccò nel 1607 ed Erto nel 1645. Dopo che le chiese di Erto e Claut furono staccate dai Cimolais ai nuovi parroci era lasciato l’onere di sudditanza che consisteva nel dovere di “recarsi alla pieve di Santa Maria nel sabbato santo per assistere alle funzioni portando il cero della loro chiesa che doveva essere benedetto dal pievano e riportandolo nella loro chiesa con l’acqua battesimale che pure era benedetta dal pievano”. Verso la fine del XVIII secolo i parroci si opposero all’adempimento di quest’onere, il pievano ricorse all’Abate Giovanni Corner, e questi li obbligò ad osservare l’obbligo antico. Sul principio del XIX sec. l’obbligo fu tolto e il cero e l’acqua battesimale fu benedetta in tutte le chiese parrocchiali. * Nel 1818 Claut, Cimolais ed Erto si staccarono dalla Diocesi di Udine e furono aggregare a quella di Concordia Pordenone. Cimolais, inoltre, è stata sede di Forania della Valcellina fino al 1969.
La chiesa parrocchiale
La costruzione attuale della Chiesa non è sicuramente quella originale. E’ provabile che i vari incendi che hanno interessato in passato il paese abbiano distrutto anche parte della chiesa. Oltre agli incendi c’era il pericolo delle alluvioni. Per evitare il pericolo gli uomini costruivano dei ripari di sasso e calce. Scrive Antonio Della Putta “i ripari erano costruiti in questo modo: gli uomini andavano nel bosco a tagliare le piante; nella parte grossa della pianta inserivano una lama (stroth) che era a forma di scalpello, nella quale era collegato un anello. A questo anello gli uomini attaccavano delle funi robuste e poi trascinavano la pianta con tutti i suoi rami. In questa impresa mettevano tutto il loro sforzo, ma si servivano anche dell’aiuto di animali (buoi o muli) fintanto che le piante erano portate sulla sponda del torrente Cimoliana e qui venivano portate perché creassero un argine che impedisse le inondazioni verso la chiesa”.
La chiesa, come si rileva dal dipinto dell’ “ex voto incendio di Cimolais”, è staccata dall’abitato come già in altri luoghi dove l’area sacra (chiesa e cimitero) viene disgiunta dalla profana. Il cartiglio del dipinto non ci dice esattamente quando è avvenuto l’incendio, data che potrebbe oscillare fra il 1685, 1695 e 1719. Circoscrive il periodo e spiega il clima, lo “scrutinio”, ovvero l’interrogatorio, di Gio. Battista Toffoli in occasione della visita del Patriarca Daniele Delfino (1737) : “Egli – il pievano di Cimolais – vive con un continuo sospetto di essere avvelenato e si crede che ciò derivi per il sospetto che va dicendo di avere, che il pievano di Glaut – (sic) sia stato il diretore e fomentatore del’incendii seguiti già in tre volte nel breve corso di 15 anni coll’esterminio totale di questa povera villa” .
Anche i dati raccolti nel 1807 dal Conte Fabio di Maniago ci dicono che Cimolais “Nel secolo decorso, ed altro secolo antecessore a questo ha sofferto di n. 3 incendi, e tutti di conseguenza, che desolò mezze famiglie; e la comune incontrò dei debiti. Le misure al caso di disastro sono al tocco della campana si radunano gli individui di ogni sesso portando dell’acqua per estinguerlo”.
Documento di dote del 16 febbraio 1198. Ota figlia di Ardimanno da Cimolais decide le sorti della propria dote. DOCUMENTO DI DOTE