Il discorso del Capo dello Stato Sergio Mattarella alla cerimonia commemorativa del 9 ottobre scorso.
Siamo qui a rendere memoria di persone. Le persone che hanno abitato queste vallate. Quelle che sono morte il 9 ottobre 1963. Quelle che sono sopravvissute. Quelle che hanno dovuto lasciare le loro case e quelle che hanno lottato strenuamente per ricostruirle, per rimanervi.
Storie di luoghi che non vi sono più, storie di luoghi che la tenacia degli abitanti ha voluto far rivivere dopo la tragedia. Insieme con Longarone, Pirago, Maè, Villanova e Rivalta, Frasèin, Col delle Spesse, Il Cristo, Pineda, Ceva, Prada, Marzana, San Martino, Faè, Erto e Casso.
Oggi ci troviamo in un Parco, quello delle Dolomiti Friulane che, nella bellezza di questi luoghi, doverosamente, dedica percorsi alla memoria. Siamo di fronte a due quadri: quello delle Prealpi Carniche. E la diga, creazione artificiale.
Entrambi, oggi, silenti monumenti alle vittime, a quelle inumate nei cimiteri, a quelle sepolte per sempre nei greti dei torrenti, sulle pendici: donne, uomini, bambini. Quasi cinquecento bambini.
Riflettiamo: la frana, la sparizione, nel nulla, di un ambiente, di un territorio, di tante persone. La cancellazione della vita. Sono tormenti che, tuttora – sessant’anni dopo – turbano e interrogano le coscienze. Riuscire ad assicurare condizioni di sicurezza e garanzia di giustizia – come richiede il buon governo – rimane obiettivo attuale e doveroso nella nostra società. Perché occuparsi dell’ambiente, rispettarlo, è garanzia di vita.
Per non capitolare al “desiderio cieco dell’uomo di piegare a proprio piacimento la Natura per guadagnarne il massimo profitto”. A un intervento dell’uomo che si traduca in prevaricazione, corrisponde la violenza della Natura. Quella violenza che la sapienza delle popolazioni locali, in antica intimità con l’ambiente, sa temere e da cui cerca riparo, sapendo come va rispettata la Natura.
Il Disastro del Vajont, come sappiamo venne paragonato a quello determinato dallo spostamento d’aria derivante dall’esplosione di un ordigno nucleare. Le Nazioni Unite hanno classificato questo evento come uno dei più gravi disastri ambientali della storia che sia stato provocato dall’uomo. Per questa ragione, il 9 ottobre, è stato indicato dal Parlamento “Giornata nazionale in memoria delle vittime dei disastri ambientali e industriali causati dall’uomo”. La tragedia che qui si è consumata reca il peso di gravi responsabilità umane, di scelte che venivano denunziate, da parte di persone attente, anche prima che avvenisse il Disastro. Assicurare una cornice di sicurezza alla nostra comunità significa saper apprendere la lezione dei fatti e saper fare passi avanti. L’interazione dell’uomo con la Natura è parte dell’evoluzione della Natura stessa. Perché l’uomo fa parte della Natura, ma non deve diventarne nemico.
La gente di questi paesi – insieme allo strazio della perdita dei propri cari, della propria casa, dei propri averi – si è trovata di fronte a una scelta angosciante: andarsene o “resistere”. Esperienze che ritroviamo nei dialoghi di un sopravvissuto di Erto, Mauro Corona, nel suo “Quelli del dopo”. Quel che li ha guidati – e che deve muovere anche noi – è l’ansia di riconciliarci con il mondo che ci ospita, con la Natura e l’ambiente in cui siamo immersi.
Perché i disastri cambiano i luoghi ma il futuro delle popolazioni dipende anche dalla resistenza di coloro che, come i valligiani di questi luoghi, non si sono arresi. Un altro impegno si avverte, irrinunziabile. Quello della memoria che i cittadini di questi Comuni continuano a coltivare e che tutti avvertiamo come compito della Repubblica.
Anche per questo motivo ritengo che sia non soltanto opportuno ma doveroso che la documentazione del processo celebrato a suo tempo sulle responsabilità rimanga in questo territorio. Quella documentazione era stata, necessariamente, raccolta nei luoghi del giudizio penale perché aveva allora una finalità giudiziaria. Conclusi, da tanti anni, i processi, oggi riveste una finalità di memoria. Appunto per questo, è stata inserita dall’UNESCO nel suo Registro della Memoria. E quel che attiene alla memoria deve essere conservato vicino a dove la tragedia si è consumata.
Per rendere onore alle vittime del Vajont e per riceverne un ammonimento per evitare nuove tragedie.