Don Giuseppe Pivetta

Sono numerose le figure di sacerdoti della diocesi di Concordia da ricordare per coraggio ed eroismo nell’ultima fase della seconda guerra mondiale. Una ha un particolare risalto, quella di mons. Giuseppe Pivetta, al tempo parroco di Cimolais, un prete, soltanto prete, di buona volontà, risoluto nella battaglia contro il male. La figura è ben nota ai parrocchiani di San Giorgio, dove don Giuseppe è stato la guida per  25 anni, distinguendosi per pietà e zelo, dal 1957 alla prematura scomparsa avvenuta nel 1983. Poco noto, invece, il suo eroico passato di prete di montagna nel periodo precedente.

Fu un prete carismatico, di grande fede. Non cessò mai di sperare, di predicare la libertà, avendo come unico scopo la salvezza della sua gente, come diversi altri pastori. Sacerdoti, medici condotti e ospedalieri, suore degli ospedali, ferrovieri, non hanno trovato, purtroppo, il giusto posto nella storia della Resistenza, eppure hanno salvato un gran numero di persone e qualche ebreo. Alcune erano ferite e soccorse nottetempo, nascoste in canonica o in case amiche, altre più gravi nascoste all’interno degli ospedali, altre sbandate o ricercate bisognose di tutto. Non si conta il numero di quelle fornite di documenti falsi, con la complicità di tanti impiegati o, compromesse col regime, aiutate a raggiungere località sicure al termine del conflitto, strappate ad azioni vendicative.

Don Giuseppe Pivetta di Emilio e Teresa Martin, entrambi fornaciai, nacque a Rivarotta di Pasiano il 20 agosto 1911. Percorse gli studi prima nel Seminario di Vittorio Veneto e poi in quello di Pordenone, fu ordinato sacerdote nella chiesa di Pasiano il 3 luglio 1938. Il mese successivo venne nominato cooperatore a Zoppola; nel dicembre 1939 vicario spirituale a Cimolais in Valcellina, dove giunse a piedi, con una temperatura di 18 gradi sotto zero, la vigilia di Natale. Il 17 aprile 1940 è nominato parroco.

La guerra è vicina. Molti uomini sono sotto le armi, il primo impegno è seminare per un reciproco affetto e affiatamento, camminando insieme alle anime affidatigli per una ricostruzione religiosa, morale e materiale della parrocchia. Il suo incessante impegno dà i suoi frutti.

Nasce il movimento partigiano, i rapporti con la popolazione spesso alla fame, e con le diverse forze della Resistenza e non sono sempre facili. Don Giuseppe stringe rapporti di amicizia con il capitano Pietro Maset “Maso”, classe 1911, caduto poi a Malga Ciamp, Piancavallo, il 12 aprile 1945, tra i fondatori della formazione partigiana Osoppo-Friuli, col quale concorda sui mezzi da porre in atto per far pervenire aiuti nelle zone controllate dagli uomini alla macchia. Il 17 marzo 1944 una formazione partigiana blocca un’automobile tedesca, con dentro un colonello ed una donna sospettata di collaborazionismo. Sono subito processati e passati per le armi. Questo provoca un rastrellamento da parte dei tedeschi, con l’arresto ti 40 cittadini, portati nelle carceri di Pordenone per essere deportati in Germania. Il parroco interviene prontamente e ottiene dal comando tedesco il rilascio di 32 uomini, mentre gli altri otto, saranno portati a Villaco e adibiti a svolgere dei lavori. Dopo qualche mese riescono a scappare e a far ritorno tra i loro monti. Dal mese di maggio al dicembre 1944 la è controllata unicamente degli uomini della Osoppo-Friuli e della formazione Garibaldi, e dichiarata dai tedeschi zona partigiana, pertanto privata di tutti i generi di prima necessità soggetti a tesseramento. Don Pivetta ottiene dal comando tedesco il permesso per permettere alle donne di scendere in pianura alla ricerca di grano e di prodotti di prima necessità. Spesso però, al ritorno, dopo aver percorso centinaia di chilometri a piedi, trainando i tipici carretti, esse si vedevano pignorati dalla polizia tedesca, o repubblichina, tutto quanto raccolto in giornate di sacrificio, oltre al poco denaro rimasto ed eventuali oggetti di poco valore. Il 18 ottobre 1944 avviene un massiccio rastrellamento, causato dalla cattura di un contingente tedesco, composto quasi esclusivamente da giovani altoaltesini bilingui. I più anziani sono fatti precipitare in un burrone a Erto, gli altri caricati su un camion per essere portati a Claut. Al passaggio per Cimolais, Giovanni Protti, detto “Luganega”, alla vista dei giovani impauriti, in un gesto di solidarietà butta sul camion del pane e alcune sigarette, avvolti in un tovagliolo. A Claut un prigioniero riesce a fuggire. I tedeschi bruciano intervengono per rappresaglia l’abitato di Barcis, ma i più non riescono a proseguire: ogni strada era bloccata dai partigiani. Il giorno successivo un gruppo di loro raggiunge Cimolais e trovano solo donne e bambini. Chiedono dove si trovino gli uomini ma la risposta è sempre la stessa: “Al lavoro in montagna”. Fissano il loro quartier generale in canonica, accolti con fredda cortesia dal parroco (che aveva raccomandato ai partigiani di evitare qualsiasi atto ostile), cui rispondono con insulti. Danno 12 ore di tempo agli uomini per presentarsi, altrimenti l’intero paese sarà incendiato. Nessun uomo si presenta. La gente è radunata in piazza, sono incendiate una ventina di case e di stalle alla periferia dell’abitato. Il parroco interviene con decisione per affermare l’estraneità della popolazione da qualsiasi vicenda, e afferma che potrà far rientrare gli uomini soltanto se il comandante giura che non sarà fatto agli uomini alcun male. Le donne intanto si raccolgono in preghiera e fanno il voto di erigere una chiesetta in onore della Madonna se il paese sarà risparmiato.

Uno speciale suono delle campane fa scendere in paese ben 12 uomini, subito chiusi dai tedeschi in chiesa. Il comandante tira fuori i giovani e gli inabili e don Giuseppe intuisce l’intenzione di passare per le armi i trattenuti. Protesta, si richiama al giuramento di un ufficiale, ma inutilmente. Allora grida: “Se volete uccidere qualcuno, uccidete me”. Il comandante accetta e concede un’ora di tempo, affinché il parroco sistemi alcune cose. Intanto arrivano nuovi soldati tedeschi, tra loro il prigioniero fuggito da Claut, invitato a passare in rassegna tutti gli uomini presenti per selezionare i partigiani: nessuno viene segnalato, mentre il soldato tedesco riconosce l’uomo che mentre era prigioniero sul camion ha buttato il tovagliolo con il pane e le sigarette.

A questo punto una ventina d’uomini scappano dalla chiesa. Fra urla e imprecazioni ha luogo una sparatoria, ma per fortuna provoca solo feriti, e anche il sacerdote è ferito di striscio alla mano sinistra. Intanto alcuni tedeschi requisiscono una cinquantina di mucche, subito avviate alla volta di Belluno. Il comandante è intenzionato ora a portare via solo gli uomini più in forma e alle suppliche del sacerdote offre una sola possibilità per concedere la liberazione dei suoi parrocchiani: “Tenere in chiesa un discorso rivolto alla totalità dei fedeli contro i partigiani e il comunismo”. La proposta è accettata. Alle 18 le campane suonano a distesa nella vallata, per richiamare il popolo ad ascoltare il sermone politico. In una chiesa gremitissima, presenti un buon numero di tedeschi, il pievano, con rara abilità, riesce ad essere convincente, tanto con il suo popolo che con l’occupante. Il paese e gli uomini sono salvi.
Il voto delle donne sarà onorato immediatamente dopo la Liberazione e la chiesetta alpina sarà edificata con il materiale da loro portato con la gerla; mentre l’indimenticabile giornata verrà più tardi ricordata con l’intitolazione di una strada: “Via XIX Ottobre”.

Don Giuseppe era il riferimento del vescovo mons. Vittorio d’Alessi per tutta la Valcellina, fin dalla nascita della Resistenza era stato avvicinato da don ….. “Lino”, cofondatore della formazione Osoppo, ma aveva corretti rapporti con tutte le formazioni partigiane del territorio, le ascoltava ed esprimeva il suo parere, sempre nell’interesse di non creare ritorsioni sulla popolazione. Contattava i parroci e riusciva a comunicare con la Curia di Portogruaro. Nell’estate 1944 favorisce l’incontro tra il vescovo e i comandanti partigiani. [Nella relazione inviata al Vaticano il vescovo scriverà: […] mi misi in contatto con i partigiani della montagna sempre per la questione del vettovagliamento: con pochi risultati, potei solo portare un po’ di conforto a quella povera gente affamata, abbattuta, avvilita.

Anche i partigiani scriveranno: “Va ricordata la visita di Concordia in Valcellina, in occasione della quale il presule non ha mancato di esprimersi – seppur con molta prudenza – a favore del movimento”. E a seguire, a proposito del parroco di Cimolais: “Nei giorni precedenti la liberazione si adoperò personalmente per convincere il presidio tedesco ad arrendersi. Appena liberata la zona è stato attivissimo nell’elezione democratica dei primi amministratori del Comune”.

Nel dopoguerra don Pivetta realizza l’Asilo per i figli degli emigranti e fa decorare la chiesa parrocchiale, con l’aggiunta di notevoli affreschi del pittore Giuseppe Modolo di S. Lucia di Piave: I quattro Evangelisti nel presbiterio (1947) e “L’Assunta” del soffitto (1953).

Il primo marzo del 1957, con enorme rimpianto, lascia Cimolais e assume il nuovo incarico di arciprete di San Giorgio al Tagliamento, dove realizza importanti opere: il completamento dell’Asilo, la costruzione dell’oratorio della Gioventù e della sala parrocchiale, il rifacimento pressoché totale dell’oratorio di Santa Maria in Sabato.

Le sue capacità non sfuggono al vescovo: nel dicembre 1968 è nominato Parroco Consultore (uno dei due parroci fiduciari del vescovo per l’eventuale rimozione di un parroco, anche senza alcuna colpa), nel novembre 1973 vicario foraneo di Fossalta e l’anno successivo Cappellano di Sua Santità (monsignore).

Soprattutto riesce a far sorgere la nuova chiesa parrocchiale. La prima pietra è collocata il 23 gennaio 1972 dall’amministratore apostolico mons. Abramo Freschi, presente il vescovo mons. Vittorio De Zanche. Progettata dal sacerdote arch. Angelo Polesello di Fiesole (Firenze), fu benedetta il 27 ottobre 1973 e dedicata a “Maria Santissima Madre della Chiesa”. Nella parete di fondo, con al centro il tabernacolo, è stato realizzato da Nane Zavagno nel 1972 un mosaico con sassi bianchi del Tagliamento, disposti a raggera.

Tanto a Cimolais che a San Giorgio, don Pivetta dimostrò costante sensibilità per i parrocchiani sparsi per il mondo, tenendo copiosa corrispondenza. Ai sangiorgini emigrati in Italia o all’estero, fin dal suo arrivo in parrocchia inviò il bollettino parrocchiale.

Sul finire del 1982 fu costretto a rinunciare alla cura d’anime, a causa dei primi sintomi di un male che, dopo ripetuti ricoveri ospedalieri, lo strappò dolorosamente ai fedeli. Fece ritorno al Padre, dalla casa canonica, il 14 febbraio 1983, a soli 70 anni, lasciando impressa nella comunità la sua figura di persona d’animo buono e mite, sempre sereno, accogliente, ricercato nei modi e prudente, con un’enorme forza d’animo nell’affrontare la sofferenza e la morte.